Questo è il secondo articolo dedicato alle figure professionali che dovrebbero essere presenti in ogni centro di diabetologia per affiancare la persona con diabete (e la sua famiglia) nel percorso di comprensione e gestione della patologia.

Oggi introduco la figura dello psicologo, che collabora in maniera sinergica col Diabetologo, gli infermieri specializzati ed il Dietista.
Il Diabete di tipo 1 non arriva a causa nostra: arriva e basta. E porta con se una valanga di responsabilità per il singolo ed i suoi cari. Porta con sé nuove abitudini ed emozioni complesse e di difficile comprensione.
Quando non si capiscono le emozione si cerca di averne il controllo e proprio li sta l’errore: le emozioni non devono essere controllate, ma comprese – piuttosto.
A volte nemmeno noi diabetici capiamo come spiegare (a chi non la vive) la difficoltà nell’articolare una frase quando siamo in ipoglicemia, oppure l’irrequietezza derivata da un calo glicemico improvviso, o la spossatezza dopo una notte in iperglicemia. Non sappiamo spiegare la titubanza del fare l’insulina in pubblico o la paura del “premere il grilletto” del pungidito per fare una capillare. Se queste sensazioni non si impara a padroneggiarle possono diventare un insormontabile muro di complicanze! Come fare se si è piccoli, in condizione di fragilità, oppure se si assiste un parente che ha la patologia?
Lo psicologo sa come guidare nel diventare consapevoli di ciò che si prova. Ed è importante che questo avvenga prima della fase di rifiuto, perchè è mentre si vive il rifiuto che la glicata peggiora. Se la glicata è alta si innescano tutta una serie di problemi che, se protratti negli anni, possono diventare complicanze ed arrivare ad un punto di non ritorno.
Passo ora la parola alla Dott.ssa Mara Lastretti (Psicologa) che vi racconterà come svolge la professione all’interno del team diabetologico, mettendo tanta creatività e passione per salvare quante più persone possibili.
D.ssa Mara Lastretti – Psicologa
La prima volta che ho sentito parlare, e proprio sentito il diabete emotiva-mente dentro, è stato quando avevo 9 anni. Una domenica d’estate, nella mia casa al mare arrivò una famiglia di amici cari per passare una giornata insieme, ricordo la mia felicità, la preparazione e l’arrivo degli ospiti. Con loro c’era una mia amichetta e amica tutt’ora, siamo cresciute insieme, la chiamerò Elsa. Insieme andammo a giocare e dopo la giornata al mare ci sedemmo tutti a tavola, tanti colori e buon cibo.
Al dolce però successe una cosa: mia mamma aveva preparato i profitterol, e chiedendo a tutti “Quanti ne volete?” Elsa rispose ” 3, il numero perfetto!”. Sorridemmo insieme quando, ad un certo punto, sua mamma disse affranta “no Elsa 3 sono troppi non puoi, lo sai, hai il diabete!”. A me bastò vedere gli occhi di Elsa riempirsi di lacrime rinunciando al profitterol. Questo è il mio primo ricordo con il diabete, la rabbia verso la mamma della mia amica che l’aveva ripresa, e per mia mamma che…cavolo, ci poteva pensare!
Noi ce ne andammo e del diabete non ne parlammo mai più, se non quando iniziai a lavorarci. Con pudore dissi ad Elsa “mi hanno proposto di collaborare in diabetologia, con le future mamme, secondo te come sarà?”. La risposta fu “vai, così mi dici che ne pensi! Siamo matti noi diabetici, non so come sarà. Soffriamo un po’, ma abbiamo tanta storia dentro!”
Ecco che accettai e mi ritrovai coinvolta così inaspettatamente in un mondo che oggi sento casa, che mi ricarica, mi stanca, mi sfida, mi mette alla prova, ma che vi devo dire…mi piace! Ovvio sono la psicologa e mi si deve riconoscere un pizzico di follia. Quando ascolto le storie delle persone io mi emoziono, sento qualcosa dentro, che unito alla tecnica e alla teoria mi muove e mi orienta come una bussola fra parole, lacrime, sorrisi e silenzi.
Il lavoro con le storie delle persone con diabete è magico: perché?
Avviene sempre una magia, e perdonate il bisticcio di parole, la persona racconta per esempio la sua difficoltà nella gestione, la sua paura di non avvertire l’ipoglicemia, il suo limite di persona che fronteggia qualcosa di più grande che vive dentro, i suoi dubbi sull’accettazione oppure la giornata no, la relazione che è andata storta, l’amica con la quale si è litigato, la riunione di condomini. Eppure come mi ha detto Alessandra Corona un sabato al telefono, l’ingrediente speciale è quell’antica forza che viene rispolverata e utilizzata dalla persona con diabete tutte le volte che si cade per rialzarsi.
Come avrete capito, cari lettori, parlare con voi e di voi fa si che si unisca il diabete ai rimbalzi della vita di tutti i giorni, per elaborare il vissuto e trasformarlo con la vostra creativa adattabilità. La vostra quotidianità è fatta di attenzione, ma anche di negazioe, e a volte è più facile non vedere che agire. In questo caso, non posso dire che sbagliate: io penso che a volte ci stia pure. Però il mio compito è riportarvi al vostro <<qui ed ora>>, che include una misurazione ma anche la libertà che ne segue.
Quando mi raccontate la vostra paura dell’ipoglicemia io ho l’istinto di abbracciarla e di accoglierla perché vera e pura, è reale, e mi ricordo allora quanto la tecnologia brilla negli occhi di S. che mi dice “ora suona, posso dormire!”. Oppure mi ricordo il paziente pianista D., alla quale il diabete aveva tolto – per via di piccoli calletti dati dalle punture per le misurazioni della glicemia – una buona sensibilità sui tasti; per questo componeva per altri, ma con il sensore appena messo, dopo un po’ di crema e manicure, riniziò a far volare le sue dita guarite sul suo pianoforte.
Ricordo la prima pizza di M., che prima non ci pensava proprio a mangiarla! “Ma che siamo matti?!”, diceva. Per lei la pizzeria era un luogo da evitare. Eppure, imparando a contare in ospedale, la prima pizza se l’è fatta con il gruppo di Counting e quando è tornata in visita mi raccontava: -“sono stata tutta la notte seguita dal gruppo, hanno fatto una staffetta per controllare la glicemia. Mi hanno detto la loro ed io in risposta ho proposto le dovute correzioni, e loro hanno aiutato me. Sa che le dico dottoressa? Domenica farò la pizza a casa e pure la crostata per loro!”
Ecco, la condivisione è una chiave di lavoro enorme. Raccontare e raccontarsi da la possibilità che una paura prenda un contorno, diventi un’immagine, componga una poesia. In poche parole, che esista! Proprio per questo, con il giusto tempo e dedicandogli il suo spazio, può essere ascoltata e soprattutto affrontata. Non si è mai soli.
Io, lo psicologo che sta in Diabetologia, me lo immagino un po’ così: concentrato e aperto all’ascolto, non giudicante, che si inserisce fra le pieghe del racconto tra una visita diabetologica e una con la dietista. Che proponga di usare sempre quello che funziona e che boicotta la visione che viene negata, o che semplicemente supporta quando il dolore o la stanchezza sono tanto invadenti.
Per me esistono persone, che mi affidano un tesoro, che a volte è anche troppo, ma che mi permetto di trattare con super cura. Mi piace custodire questo tesoro e trasformarlo sempre e solo insieme. So stare con la tristezza, quella che entra e fa tanto freddo dentro, così come sto stare con la rabbia, l’ingiustizia che accendono il volto di chi me lo racconta. Ma so stare ancora meglio quando andiamo avanti, quando arriva quel click che mi fa dire <<ora vola da solo! Avrà altri problemi così come tante gioie ma le saprà affrontare, le saprà leggere così come l’iperglicemia a 300 causata da un’improvvisa ondata di felicità>>.
Ecco per me il diabete e muovermi su e giù, è incasellarmi fra una glicemia, un bip, una strategia. È ritrovarmi sola con una persona che vuole vedersi e riconoscersi, a prescindere dal diabete. Vi faccio una battuta: da oggi potete chiamarmi “Vetril”! Si come il brillantante per vetri, quello che quando lo passi tutto prende una nuova luce!
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